dolore diabolico

dolore diabolico
Immagine di Giuliano Fedeli

Da una lettrice riceviamo questa lettera bella e spietata

No, onestamente non lo ricordo più cosa significhi uscire la sera, cosa erano le piazze che vivevano di persone felici. Perché mi ci vuoi far pensare? Non è tempo ora, chissà quando lo sarà. Ma perché volerlo far tornare quando ormai siamo abituati ad isolarci? È diventato quasi uno stato confortante se ci pensi. Io non ho più voglia di fare nulla, ma allo stesso tempo non mi sento più responsabilità addosso. Mi sento di poter vivere in pijama, anzi, in mutande, come Dalla. Anche io penso a una Tailandese, perché non l’ho mai vista una Tailandese, e provo a ballare come se fossi lei. Ma l’immaginazione non mi arriva più diretta. Non ho contatto con l’ignoto, e non so più come raggiungere un ricordo. Non capisco quale sia il limbo che mi blocca. Sono inetta, ecco cosa sono. Non sento nemmeno più lo stimolo a cercare un raggio di sole, mi passa di fronte ed io continuo a soffrire il freddo all’ombra, tanto sono inetta. Mi provo a spostare di qualche centimetro, ma riesco solo a rotolare all’estremità del tappeto. Non posso più poggiare i piedi al suolo, devo essere schiacciata dalla forza di gravità per sentire che ancora qualcosa mi lega alla terra. Da qua non mi rialzerò perché non c’è uno scopo, non c’è nessuno che io possa salvare. Voglio che il senso di colpa mi seppellisca quaggiù, perché sono una miserabile. E mi faccio pena. Cosa mi sembra di questo racconto? Cosa ci vedo? Cosa sento? Non lo so. Non so parlare delle mie emozioni, specialmente di quelle che mi fanno soffrire. Dolore. Sì, hai ragione, lo sento il dolore quando si allontana l’apatia. Quando non sento quella voce perfida. Diabolica. Sì, diabolica. Quando mi vivo così male le cose, mi devo ricordare che non sono come le dipingo, ma che sono io che le dipingo. Mi illudo da sola di ascoltare la voce della ragione, permetto al suo essere così fragile di sembrare minacciosa, imperiosa, tutta “osa” ma non osa, si dà per vinta e sta rinchiusa. Di tutto il bello che c’è stato, è solo il male che vuol fare emergere, che vuole costruire come una casa senza fondamenta così che chiunque vi si addentri inevitabilmente ci caschi dentro.

Flavia Incitti