DUE PAROLE SULLA PROTESTA DEI PORTUALI

DUE PAROLE SULLA PROTESTA DEI PORTUALI

Poteva andare diversamente la protesta dei portuali di Trieste? Stando le cose come stavano fin dall’inizio no, non poteva. Chi mi legge a volte se la piglia con me, ma se fare il proprio mestiere, vedere le cose come stanno e anticiparne la fine, è una colpa, allora si accomodassero pure. Ma non è colpa mia se il portavoce Puzzer si è dimesso assumendosi la responsabilità degli errori. Non ci si può incazzare con chi tenta una interpretazione se in seno ai resistenti si sono avute subito indecisioni, spaccature, se il coordinamento è mancato, se le lusinghe e le minacce del regime hanno subito fatto breccia. Non dipende da chi scrive se una forma di lotta annunciata senza termine è durata, in pratica, 24 ore, rientrata con la promessa di venire ricevuti con calma da una figura istituzionalmente insignificante, nel caso specifico, come la Casellati. Anche il presidio, che non si è capito bene cosa fosse, a cosa servisse, era a scadenza, sarebbe terminato comunque domani e al porto di lavoratori resistenti ne sono rimasi una trentina, gli altri tutta gente di complemento e anche di fastidio come i parassiti dei centri sociali. Capisco che la disillusione sia dura da mandar giù, capisco che scrivere sui social “la lotta continua” non costa niente, e capisco benissimo che l’informazione di regime distorca e menta per la gola: ma chi scrive cosa ha a che spartire col mainstream? Nessuno più di me avrebbe voluto che la protesta continuasse, se non a oltranza, abbastanza per accenderne altre. Ma non posso farci niente se di proclami roboanti ne ho visti troppi nella mia vita e nel mio lavoro, e certi segnali so riconoscerli immediatamente. Stonato, il Puzzer? Certo, stonato, stravolto e vorrei vedere: ha retto una pressione alla quale non era preparato, si è perso, ha cercato di rimediare, ha mandato segnali contraddittori e adesso è svuotato, senza più forza: ha combattuto ma ha perso, anche per sbagli suoi e non è malignità immaginare per lui un futuro diverso e già in corso, quello delle passerelle mediatiche. Come per la vicequestore, un’altra sulla quale probabilmente molti dovranno cambiare idea. Le forme di resistenza, voglio dire, vanno preparate, attrezzate pensando al peggio e a come trasmetterle; se si squagliano alle prime avvisaglie, se si dimostrano sterili, non solo non servono a nessuno, ma sono controproducenti: mandano un segnale disperante al Paese, esaltante al governo. Siamo in un regime? No, siamo alla dittatura, a un passo dallo Stato autoritario. Draghi manda gli idranti, manda la polizia a pestare i manifestanti inermi e persino la Cgil plaude. Così anche l’informazione serva. Questo non va solo ripetuto, va capito ogni volta che si annuncia una reazione: abbiamo di fronte gentaglia disposta a tutto e che il morto di piazza lo cerca, lo aspetta. Per poter stringere ulteriormente, per saldare la reclusione pseudosanitaria con quella legata alla sicurezza. Prima regola dell’arte della guerra o almeno della resistenza: capire con chi si ha a che fare, fino a che punto è disposto ad arrivare. Gentaglia come questa non ha scrupoli e può arrivare a far pagare prezzi anche rovinosi. L’informazione è infingarda, è strumento del regime? Certamente, ma questo non può diventare sempre un alibi ogni volta che le cose non vanno come sperato, ogni volta che la realtà delude. Ci aspettano mesi tremendi, di repressione dura e senza nessuna politica che voglia assumersi il peso di una rappresentanza. Non potendo auspicare la guerriglia, toccherà restare lucidi, non stancarsi di denunciare i soprusi – scrivendo, nel mio caso, e posso garantire che i contraccolpi ci sono – e se mai di studiare forme di opposizione non violenta ma, se non efficace, almeno significativa, incisiva. Le armate Brancaleone non servono a nessuno, la narrazione romantica è appagante ma fine a se stessa, l’empatia per i portuali inginocchiati ci sta ma fino a un certo punto: anche loro hanno resistito meno di quanto dicevano, piaccia o non piaccia si sono arresi, poi le cause si possono discutere, sta di fatto che a questo punto il regime è più forte, conta sull’effetto dissuasivo, sulla lezione impartita a futura memoria. È amaro constatarlo, ma le cose stanno così e un buon cronista, o analista della realtà, non può mentire a chi lo legge. MDP

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