il lockdown che c’e’

il lockdown che c’e’

C’è un tipo umano che rifiuta sistematicamente di sapere, di vedere. È un tipo deleterio, ti chiede consiglio, tu gli dici le cose come stanno e se la prende con te, come fossi tu ad averle provocate anziché la sua inerzia. Questa dissonanza cognitiva, questa falsa coscienza essendo diventata collettiva è la principale responsabile dello stato in cui versiamo. Tu dici, scrivi che il prossimo lockdown è maturo e ti rispondono: no, io non ci voglio credere, tu fai terrorismo. A forza di non volerci credere, ci stiamo dentro da 20 mesi ma la gente ancora insiste: no, speriamo di no, non ci voglio credere. Non voleva credere alle mascherine all’aperto, alla caccia all’uomo in piena spiaggia d’inverno, ai tamponi trivella, alle zone rosse di vergogna, alle tre, quattrocentomila, al milione di attività saltate, all’aumento dei tributi, all’esplosione dei costi energetici, ai vaccini miracolosi, al greenpass che li rende di fatto obbligatori e dal 15 ottobre sarà necessario anche per lavorare, per tutto, in attesa di ulteriore potenziamento, come lo chiamano, sino al foro interno, il lasciapassare come psicopolizia. L’equivoco sta nella miopia, nel voler considerare un coprifuoco come una misura generale, circolare. Ma lo Stato, per quanto ottuso, mantiene sempre una sua astuzia perversa che gli serve per blindare se stesso, i suoi assetti di potere. Chi ci assicura che i prossimi lockdown saranno come quelli passati? Nessuno, è molto più verosimile che avremo misure parcellizzate, personalizzate e per questo una trovata come il lasciapassare è perfetta: chi non l’avrà non potrà uscire di casa. Facile, immediato, automatico: da qui, possono discendere ulteriori corollari tutti nel segno di un approccio antidemocratico. Non ti vaccini tre volte l’anno (con relativo richiamo)? Stai chiuso. Ti è scaduto l’abbonamento al greenpass due ore fa? Torni dentro. Hai mangiato qualcosa che la cupola del CTS considera covidcompatibile? Non puoi uscire. Hai fumato? Hai scritto qualcosa di irriverente, di non ortodosso? Hai pensato? La casistica è infinita, le possibilità sconfinate: forse non ci stanno dicendo che i costi della transizione globale dovremo pagarli tutti noi e saranno cari, al limite dell’impossibile? Forse che non stanno apparecchiando, su mandato della Unione Europea, qualcosa come 50 riforme in 100 giorni, obiettivo impossibile ma indicativo di una follia che non trova argine? E l’argine non c’è perché ribellarsi è impossibile: primum vivere!, se ti impediscono la possibilità di lavorare non guadagni e se non guadagni i tuoi figli non mangiano e muoiono di fame. Vogliamo dire che non tutti preferiscono non sapere, non vedere, che molti si adeguano obtorto collo e non li si può biasimare. La sostanza è che alla chiusura ci siamo già e quello che temiamo è se mai un peggioramento. Ma quando la morsa si stringerà in tutta la sua evidenza non ce ne accorgeremo perché la prima a trovarsi in gabbia è la psiche. 60 milioni di rane stanno già bollendo, hanno già accettato il grosso del lavoro, sono assuefatti a vivere al di fuori delle garanzie costituzionali, non protestano o odiano chi osa protestare. Già oggi molti non possono operare, lavorare se non al prezzo, non leggero, di continui tamponi e fra meno di un mese neppure questo basterà più. Siamo già sottoposti a un controllo fisico, psicofisico, spaventoso, indotti a discolparci per scelte affatto personali, ad ammetterle, a rivelare ciò che fino a due anni fa sarebbe stato considerato indiscutibilmente inviolabile; siamo al collaborazionismo degli zelanti, ai parassiti che sui media sgomitano per incitare al potere, alle sue restrizioni, alle sue invenzioni autoritarie. Siamo alla neolingua, “il greenpass è veicolo di libertà”. Certo, allo stesso modo dell’ora d’aria in galera. Se uno osserva che questo fondamentale strumento di libertà è adottato solo in Italia nell’universo mondo, lo insultano, lo aggrediscono. Al lockdown, spaziale, fisico, mentale, ci siamo già. Però è meglio “non volerci credere”, “speriamo di no, se no questa volta non reggo”.

MDP

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