Non lo so com’è. Sembra quasi che il maledetto youtube mi legga dentro, mi venga a stanare nei miei fantasmi che non si placano. Quel continuo propormi, fra i milioni di video, quelli del Mondiale 1982 non può essere solo calcolo o casualità algoritmica. C’erano quei colori vividi, quell’azzurro incendiato, l’idea di una modernità in bilico tra futuro e tradizione: quello fu l’ultimo trionfo in qualche modo ancora genuino, le file delle macchinette vacanziere, la gente che si buttava nelle fontane, ecco due imbecilli che si incioccano, ma che importa, scendono e invece di aggrovigliarsi in un duello rusticano, come avrebbero fatto in ogni altro giorno della vita, si abbracciano saltellando orrendi sgangherati felici come i Fantozzi che sono, “Italia! Italia!”. L’Italia pallonara aveva vinto con l’intelligenza di Bearzot, un allenatore di scaltro candore che capiva la forza mentale dei suoi e la debolezza degli avversari. Arrivati da pezzenti, trattati da pezzenti, se ne andarono con la Coppa in braccio e tante stille di umanità destinata a non ripetersi. Ultimi calciatori già divi, ma ancora calciatori. Adesso c’è solo il divismo irreale di queste proiezioni influencer. All’epoca io avevo diciotto anni appena compiuti e una passione esasperata per Renato Zero: quell’estate lì fu a cavallo tra il disco dell’anno prima, Artide/Antartide, che segnava uno spiazzante cambio di passo, una nuova maturità stilistica, e quello in arrivo, che tanto lo sapevamo imminente, noi fanatici sapevamo tutto, sempre, sapevamo che Renato si ammazzava di lavoro per cogliere l’occasione del prossimo Fantastico: e ci avrebbe portato un altro discone lungo, pieno di canzoni emozionanti. Via Tagliamento, si sarebbe chiamato, il disco rosso con la produzione pastosa, il basso anni Ottanta, alla Pink Floyd. Anche quello avrebbe chiuso un’epoca. Mi investono in retrospettiva quei video dei calciatori azzurri, trionfo insospettato celebrato dai Rolling Stones a Torino, a Napoli, ma io immergo tutto in quell’attesa estiva per Renato che non mancava mai, che c’era di continuo. Ancora oggi è così: e se ci penso, mi pare sia passata molto più che una vita. Come un’epoca remota, che si fa sempre più improbabile, irreale, ma l’abbiamo davvero vissuta, ma io ero io (voglio un identikit), oppure ho sognato tutto quanto? E mi succede di condurre nostalgie storiche, all’insegna della Moda e dei Motori di quel tempo, e mi convinco, devo convincermi che no, era tutto vero, fu tutto vissuto. Io quei dischi li ascolto ancora, non ho mai smesso e ancora ci trovo sfumature nelle pieghe dei suoni, sensazioni che rinascono, atmosfere rigeneranti come sorgenti. Dischi risorgenti. Sai quando un artista permea di te la vita e tutto, ogni sfumatura assume la sua voce, la vibrazione inconfondibile. Tutti viviamo come unici, perché irripetibile è la nostra piccola interpretazione dell’universo: certi attraggono, altri si ritrovano respinti. Poche anime rare sanno racchiudere più della realtà, più di un mondo, e non smettono di parlarti. E questa è la promessa, “ti vivrò accanto”, che non riposa mai. Uno come Renato può intuire molto, ma mai completamente quanto viva accanto a milioni di vite comuni. La mia tra queste. Avevo 18 anni, mio padre per il compleanno mi aveva comperato un braccialetto in caucciù con la scritta dorata del mio nome, lo porto ancora, ho cambiato infiniti cinturini e mio padre è morto, tutti sono morti intorno a me. L’Italia vinceva impossibili Mondiali, io sognavo ascoltando le canzoni di chi mi viveva accanto. MDP (per sostenere il Faro basta una ricarica su PayPal tramite maxdelpapa@gmail.com)