SIMONE E’ MORTO SOLO, MA C’E’ IL REALITY QUIRINALE

SIMONE E’ MORTO SOLO, MA C’E’ IL REALITY QUIRINALE

Il reality Quirinale è indecente ma non innocente. La sequela di trattative spregiudicate alla luce dei riflettori testimonia di un Paese alla frutta (guasta), senza più dignità, egregiamente rappresentato dal capo del Governo che, volendo diventarlo anche della Repubblica, non si fa scrupolo di condurre trattative personalissime con cui promette, ricatta, minaccia, nella totale assenza del senso di responsabilità del Parlamento: quello di tirar fuori dal cilindro candidati come polli, per bruciarli meglio, è un sistema che solo qui poteva attecchire, neanche in certi stati fantoccio o tribali che almeno decidono col machete e col mitragliatore. Il metodo all’italiana prevede invece la totale impreparazione, protratta per mesi, che sfocia in una improvvisazione sconcertante nel carosello di telefonate, salotti, cene al ristorante, ricatti, spiate come in un film di Fantozzi. Alla fine, il Capo dello Stato che dovrebbe rappresentare l’Italia esce per esaurimento di ogni trama, per sfinimento di tutti i congiurati: di norma, è un vetusto rappresentante dell’eterna Repubblica che cambia tutto per non cambiare affatto, una vecchia volpe, un grande vecchio, un saggio, un marpione, tutto ma non il meglio: non la figura a nome di un popolo ma quello che si è trovato al mercato dell’usato, quello che, più o meno, può star bene a tutti, cioè blinda il Palazzo e tiene buono il gregge. Tutto questo, opportunamente risolto in spettacolo televisivo, con tanto di pronostici, puntate al totalizzatore, gossip d’accatto, finti colpi di scena, rintontisce, avvolge fino a non destare più scandalo, vergogna, mortificazione ma, al contrario, per appassionare, per coinvolgere. Passavo a Roma, passavo proprio per Montecitorio militarizzata e trovavo le cariche dei giornalisti appresso al Quisling di turno, per dire uno prono ai cosiddetti poteri forti: poi ne usciva un altro e la massa dei cronisti fantozziani di gran carriera si spostava, oscillava sul prossimo e così via, nell’indolenza dei commessi davanti alla Camera, degli sbirri in borghese, riconoscibilissimi dalle facce da Digos, degli altri in divisa, dei per così dire cittadini che tiravano via verso gli affari loro. Tutti mascherinati. Ho avuto in quel mentre un pensiero stupendo, o tremendo, se fossi stato un terrorista nessuno mi avrebbe fermato, avrei potuto tranquillamente beffare il presepio militare fingendomi un turista confuso, lo smartphone in mano, la voce robotica di Google Map che mi guidava verso ignota destinazione, e poi la carica esplosiva. Mi sono allontanato vagamente preoccupato, tutta quella parata non difendeva nessuno o meglio difendeva loro, i rappresentanti del popolo intenti nelle loro finte, nelle loro manovre, nel mercato delle vacche, nel vendersi e comprarsi votazione dopo votazione, conta dopo conta, fumata nera dietro fumata nera. Ho sentito direttori televisivi e di grandi giornali, che tali ormai non sono più perché quasi nessuno li compra, li legge, li ho sentiti commentare col più rettile dei sorrisi: “Se stanotte si mettono d’accordo, chiudiamo entro domani”. Il gergo dei malamenti per dire di riunioni clandestine, irriferibili, che essi stessi, i direttori, si impegnavano a non riferire; intanto i fantozzi correvano dietro ai nessuno ogni giorno, per tutto il giorno, fino a fumata bianca. Bianca di canuzie e di responsabilità. Come fa un Paese a riconoscersi in una figura sgorgata da un contesto più simile a una messa nera che a una liturgia istituzionale? Ma a vederla bene è il degno rappresentante, chiudiamo entro domani, poi ci fiondiamo coi panegirici, col leccaggio del nuovo culo vecchio e pensiamo alle nostre cosche. E poi è un gioco, un reality, no? Niente di vero, niente per le anime morte che siamo e che tifiamo, non ci scolliamo di lì, semireclusi, abituati ormai a comportamenti contro natura, umilianti: le mascherette dell’eterno carnevale macabro, che soffocano e intossicano, la macchia puntiforme dappertutto, “a scadenza illimitata” per chi non ha paura di bucarsi. gli altri murati vivi. Più stanno a casa e più guardano il reality Quirinale e poi ci ringrazieranno pure. Ma la madre del 23enne morto di una malattia feroce, la piastrinopenia, al San Giovanni di Dio di Firenze, lei non ringrazierà nessuno. Perché se c’è un posto dove i santi mancavano, era quell’ospedale dove un ragazzo gravemente malato è stato lasciato a crepare da solo come neppure un animale. E sapete perché Perché la donna non aveva il green pass. Non accontentare un essere umano per cosa? Per dei regolamenti? Simone spirava dopo una vita di sofferenza e la madre non poteva esserci, tenergli la mano, dirgli le ultime parole. Neppure di vederlo da un vetro, le hanno consentito. Ai condannati a morte lo permettono. “Eh, ma la legge è legge” hanno scandito dall’ospedale, che sicuramente non sarà ricettacolo di concorsi fasulli, sprechi, disservizi, magari qualche errore fatale, niente, lì dentro tutto adamantino, tutto puro come il Paradiso. E guai a chi se la prende con l’infermiere carogna: “Sono eroi!”, hanno proclamato sui social i soliti rompicoglioni evirati di ogni umanità, gente che a questo punto, con l’isteria montata dal regime fa davvero paura come la facevano i collaborazionisti ai tempi delle leggi razziali. Tutti eroi, anche le infermiere influencer che si fa le pose sexy da Dubai. E poi che volete? Le regole si rispettano, ha detto anche il primario Fortini. Poi, il giorno dopo, si è scusato, con le solite parole da sepolcro imbiancato, “siamo sotto stress, potessi tornare indietro farei diversamente, beh, ne prenderemo atto, la prossima volta faremo meglio”. Meglio in che senso? Uno così dovrebbe finire immediatamente davanti a un giudice, ma se così si esprime, al limite dello sprezzante, oltre quello dello spregevole, sa che non rischia niente. Ma sì, la prossima volta, il prossimo malato faremo più attenzione. Ma tranquilli, in Italia le regole si rispettano e le forme pure: la Asl Toscana Centro ha espresso “sentite condoglianze e vicinanza ai genitori ed alla famiglia del giovane”. Ed alla famiglia. Di genitori ne aveva uno Simone, e dopo un’agonia di giorni gli è stato negato. “Mamma sto male, vieni da me”, le sue ultime parole. Un infermiere, un primario, un ospedale ha detto: non se ne parla, sei una novax, questo ti meriti. Fossi io quella madre, saprei come ringraziare sentitamente (grazie a chi sosterrà il Faro con una ricarica su Paypal via mail maxdelpapa@gmail.com. Tempi sempre più difficili, aria sempre più irrespirabile, sempre più improbabile il lusso della libertà, di scrivere non meno di vivere). MDP