IL PAESE IMPANTANATO

IL PAESE IMPANTANATO

Al Quirinale hanno scoperto l’eterno ritorno, la volontà di impotenza. Eterno è il ritorno dei decreti strampalati, delle vane parole, degli errori marchiani, eterno è il lockdown e eterno è il rinascere di Conte. Nietzsche non c’entra, è la miseria della politica manovriera italiana di cui il nostro Mattarella è esperto nocchiero: l’eterno ritorno maschera la Fenice polverosa che maschera il Gattopardo, un po’ di cornice ma avanti nelle nostre miserie, nelle nostre corruzioni, non solo morali. Nessun capo di Stato, se non nelle autocrazie africane, potrebbe legittimare oltre un governo inconsistente, truffaldino, foriero di quotidiani disastri ma la concezione del potere, condivisa, è la seguente: un conto siamo noi, noi Palazzo, noi unti da noi stessi, un altro il popolo infimo e che non deve aver voce in capitolo. Lo dicono, senza scrupolo alcuno: “Ah, votare mai, non scherziamo!”. E insistono col “pericolo del voto”, “l’incubo delle urne”. Perché dovrebbe essere un pericolo ciò che nel resto del mondo è normale esercizio di democrazia non si capisce ovvero si capisce fin troppo: in tanti resterebbero senza alcuna sovvenzione, compresi molti leccaculo in fama di giornalisti. Così scomodano persino il Covid, la pandemia che conviene ci sia, votare come assembramento, come irresponsabilità, pretesa eversiva contro il governo Fenice che vuole durare, pretende di durare.

L’eterno ritorno maschera l’eterna palude, lo stagno da cui non si esce. Un giorno dopo l’altro, come nella canzone di Luigi Tenco, il tempo se ne va e con esso le ultime velleità di reazione: i ristoratori, i bottegai, i professori alle prese con la didattica a distanza delirante, tutti sembrano rassegnati al pantano, alla reclusione che si autoperpetua; che, nel solco del potere, si legittima da sé e eternamente ritorna più ottusa, più feroce. Si è rinunciato perfino al conto delle conseguenze, accettate come inevitabili, forse fatali e le si motiva col senso di colpa instillato da sempre in tutti i prigionieri, di fronte a tanto orrore qualcosa avremo pur fatto, qualcosa di indicibile, di imperdonabile. Da cui la sindrome di Stoccolma, il senso di panico, le mascherine genetiche e il vaccino percepito come pozione magica.

La rassegnazione è completa, quel che è stato è stato, colonia cinese o succursale greca dell’Unione Europea, va bene tutto, si accoglie tutto, il nostro Mattarella continua a prendere tempo, ad assecondare la paralisi e ci son di quelli, come Prodi, come Monti, che dicono senza mezzi termini: dovete morire ancora in tanti, chiudere, arrendervi perché così vuole l’Europa.

L’eterno ritorno dell’uguale, il tempo ciclico, ma uguale al nulla, come un rubinetto che gocciola nel deserto. Né gaia scienza, né politica. “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro”. Piaceri pochi, dolori quanti ne vogliamo. Non è amor fati, è sottomissione e dalla sottomissione non si esce a meno di un elettroshock sociale, come una guerra, il risorgere dei terrorismi, una carestia. Quanto a dire il “muoia Sansone”, il tabula rasa dal quale ricominciare a edificare, in modo stentato, penoso, drammatico.

MDP