GRANDE FRATELLO PORTUALE

GRANDE FRATELLO PORTUALE

Va in scena la protesta romantica. L’ex capopopolo portuale Puzzer lo senti parlare dopo che ha sciolto un coordinamento, fondato un comitato, insomma la solita trafila velleitaria del sindacalismo tricchetracche, e ti viene da scuotere la testa, non sai se più sconsolato o esasperato. La protesta dei portuali doveva incendiare la prateria, si è risolta in un fuoco fatuo e il governo ci sputa sopra. Al roboante incontro di stamattina hanno mandato il ministro Patuanelli che è agricolo, non c’entra niente ma è di Trieste e ha casa vicino al porto. Peggiore schiaffo e in un certo senso geniale non si poteva immaginare. Dieci minuti ad uso dei fotografi e poi la ruggente conferenza stampa di Puzzer il quale che fa? Mette in fila una serie di frasi fatte, purissimo fumo senza arrosto, parla di sé, dei figli, della famiglia, dice che non bisogna sempre parlare di lui e chiude al canto “la gente come noi non muore mai”. Applausi, ma politicamente gli va magra: le richieste del Coordinamento 15 ottobre, cioè di Puzzer medesimo, sarebbero sensate se non fossero lunari dato l’interlocutore, Draghi, l’autocrate: via il greenpass e libertà vaccinale. Proprio le due cose che Draghi non concederà mai e lo dice chiaro. Però in alto i cuori, Patuanelli ha promesso che martedì, con calma, ne parlerà al Consiglio dei ministri, i quali si faranno quattro risate. Puzzer è contento, le madame che mi scrivono dandomi del senza cuore, pure. Colpa mia, che ragiono con la ragione e non con il sentimento o l’erotismo esangue di chi vede nel portuale il cavaliere tenero e rude che le salva. C’era alla diretta su Byoblu anche questo Becchi dai fluenti capelli, come un vecchio della montagna o il mago buono di Harry Potter. Maestro buono o cattivo questo Becchi? Mah, a me pare un po’ rintronato, uno che non ho capito se viene dal movimentismo casinaro degli anni ’70 ma di cui so la parabola psicopolitica: “ideologo” di Grillo, poi consigliere di Salvini, adesso ispiratore, o almeno così vorrebbe, delle proteste portuensi. Diceva Albus Silente dalla barba candida come i capelli: Puzzer parla a nome del popolo; smettiamola di parlare di dittatura, siamo oltre: ccorrono forme nuove di protesta; e poi passava a caldeggiare il grande sciopero nazionale, la scintilla propagante, l’incendio della grande prateria. Come fai a non dirgli che, con tutte le sue filosofie, ci fa la figura del nonno che nessuno ascolta? Gliel’ha fatto notare, tra mille salamelecchi, anche un altro in collegamento, il giornalista Fulvio Grimaldi. Io non ho la stessa pazienza e non mi sono tenuto e ci sono andato giù duro: a nome di quale popolo parla Puzzer se rappresenta a malapena se stesso? E poi, se siamo oltre il concetto di dittatura novecentesca, perché si aspettano risposte novecentesche? Lo sciopero è proprio quello che a Trieste non son riusciti a fare, è durato 24 ore e uno capisce tutto, ma negare la realtà per la solita smania di verbosità, proprio no. In collegamento da Trieste hanno interprellato anche un altro leaderino di non so quale movimentino, perché quando affiora uno scontento sono sempre più quelli che lo cavalcano di quegli altri che lo esprimono, il quale ha detto senza timor di ridicolo: siamo alla ricerca di una ideologia. Ancora? Se mai servirebbe pragmatismo, concretezza, buon senso e un minimo di organizzazione tattica, strategica invece dell’armata Brancaleone. Il greenpass non è ideologico, è concreto come lo immagina Xi Jinping in Cina: una roba che controlla tutti, su tutto, dappertutto, per sempre e qui si può parlare fin che si vuole di nazicomunismo, di comunismo liberista, di Kant, di Hegel, di bioetica, basta che serva a qualcosa e non solo all’ego di chi lo fa. Ieri parlavo con un amico che gestisce un locale estivo all’aperto: tre volte in questura in una settimana, perché aveva “troppa gente”. In una estate depressa, la sua colpa era di rappresentare un punto di festa e di allegria in una città morta come Ancona. Ma lui è avvocato, quindi se la cava. Ai suoi ragionamenti anche polemici, i poliziotti replicavano: ma, sa, noi dobbiamo educare. Lo Stato etico, anche se i poliziotti non lo sanno ed è inutile rispondergli l’ovvio, che uno Stato non deve educare, un corpo di polizia non deve educare. Oltre la dittatura, caro professore? Ma no, è sempre il solito sogno di ogni regime in ogni tempo: controllare, educare, sottomettere. Vediamo forme di repressione apparentemente nuove, tecnologiche, e applicazioni vecchie, lo Stato ideologico. E c’è chi vuole ancora ideologia. Certo, regna la confusione in tutti noi. Il problema è che la confusione, la contraddizione non la puoi esaltare come seminale o come un dato di fatto; forse sarebbe il caso di riprenderci ciascuno la propria individualità dopo 30 anni di deleghe mentali e politiche ad una Unione Europea che ha abituato il Paese a deresponsabilizzarsi su tutto. Da cui la buona riuscita del micidiale esperimento sociale in Italia, sotto gli occhi degli osservatori internazionali. Se invece proprio non si riesce a fare a meno di un pilota automatico, allora si potrà osservare che la faccenda dei portuali di Puzzer sta velocemente evolvendo nel Grande Fratello protestatario. Anche quella una ideologia, volendo. MDP