LE MEDUSE

LE MEDUSE

Ci siamo: Fedez contro Mario Giordano: in un profluvio di trivialità bimbominkia scuola media style, lo accusa di indagare “sul mio sesso”: sai che spreco. Giordano l’ho incontrato una volta, a un convegno, ci ho scambiato qualche mail, seguo la sua “Fuori dal coro”, mi sono persuaso che di tutto vorrebbe occuparsi tranne il pistola di Fedez. È proprio un fatto di dignità professionale, inoltre sussistono, come dire?, limiti di coscienza, voglio dire questo è uno che si faceva insegnare la politica da di Battista e il mondo da Scanzi. D’altra parte, tutto quello che puoi pensare sul Fedez è vero; provvede lui stesso a confermarlo, tutte le volte, in un paziente lavoro di scavo sotto il ground zero del ridicolo. Ante Sanremo fui facile profeta: ne usciranno con le ossa rotte, entrambi i soci della Ferragnez Inc. Però non pensavo fino a questo punto: la sensazione è di sbando totale, lui più di lei che in definitiva ha il ghiaccio di una moderna Crudelia mentre l’amico di Rosa il Chimico (“io non me la prendo con lui, ma chi con lo manda lassù” l’ha cresimato Renato Zero e non resta altro da aggiungere) si aggrappa dove può per risalire la corrente. Purtroppo compiono una fesseria appresso all’altra, sono in avvitamento, sono patetici, realtà e finzione con loro non hanno senso, è tutta vera finzione, hanno stufato anche i più rincretiniti e mi piace pensare che le critiche di pochi, tra cui il sottoscritto, abbiano contribuito al risveglio, non importa se marginale:  svelare gli imbonitori è doveroso a prescindere. Fedez dovrebbe occuparsi non delle inchieste che non esistono ma delle vocette che esistono, pettegolezzi a livello portineria social, ma ci stanno. Il mondo del qui ed ora, dei soldi nel presente continuo è un miraggio perenne, una bugia insaziabile: in apparenza inclusivi, in privato piccolo-borghesi come due arrivati dalla provincia e dall’hinterland. Si mette tutto in piazza, dalle ecografie alle cicatrici, ma senza gioia perché il qui ed ora è effimero per genetica, impone l’inesausto sfruttamento di sé, non lascia spazio al benessere, è pura accumulazione per l’accumulazione, fatica di Sisifo che non porta a niente. Anzi, no, porta a lungo andare gli esposti, le verifiche, perché la frenesia dell’accumulo non bada ai dettagli, è spregiudicata, patisce il delirio di onnipotenza. Fin che regge, ma prima o dopo viene il giorno che chi di comunicazione infierisce, di comunicazione perisce. Tu vedi questi due, così innaturali, lei che pare vecchia anche quando si trucca per sembrare acqua e sapone, lui con quella testa ossigenata, purtroppo solo nei capelli, vedi quella completa mancanza di felicità, l’eterna finzione che distrugge e pensi: ma chi glielo fa fare? La religione del qui ed ora non lascia scampo e non lascia niente, è fatta di immagini, di ectoplasmi che svaniscono, evaporano al sole come le meduse: living in city Life, but it must be hell. Trent’anni e poco più, ma già addosso quella ruggine, quella dispersione, quella disperazione definitiva, la diffidenza ferina di quelli che, votati alla simulazione, si sentono sempre scoperti, sempre imbrogliati. Lei la chiamano imprenditrice digitale perché fa più fine che sommatoria dei marchi pubblicizzati, se spariscono quelli, non si esiste più. Lui va a rimorchio, è geloso e le ruba la scena, you call it love in city Life, uno che ha bisogno di Orietta Berti, 80 anni, 50 più di lui. Non è imprenditoria e non è business: è luna park, castello degli orrori, ma diremmo che la parabola si sia inesorabilmente piegata verso la discesa: ripida, un risucchio. Aspettiamoci qualche altra boutade nello strazio di chi annaspa mentre già si fanno sotto gli epigoni, i cloni. Tutto così scontato, così atrocemente noioso, così provinciale anche se ti affacci su city Life. MDP (per sostenere il Faro basta una ricarica su PayPal via email maxdelpapa@gmail.com)